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Perché il mainstream ignora il caso Majorana Pelizza

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Perché il mainstream ignora il caso Majorana Pelizza

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Perché il mainstream ignora il caso Majorana Pelizza

Esistono prove, perizie e testimonianze, ma nessuno se la sente di uscire allo scoperto. Le rivelazioni sulla seconda vita dello scienziato scomparso, pubblicamente non vengono neppure considerate. In quest’articolo Luci e ombre sul mistero Majorana Pelizza

A cura di Rino Di Stefano


Redazione Web Macro

Majorana Pelizza: censura occulta

Ci sono degli argomenti che, per ragioni che non vengono mai spiegate, non devono essere pubblicati né sui giornali né sulle reti televisive nazionali. Queste disposizioni non appaiono da nessuna parte. Non ci sono regole scritte che indichino ciò che è pubblicabile e ciò che non lo è. Siamo pur sempre in una democrazia e farebbe caldo, se mai questi “suggerimenti” venissero alla luce del sole, giustificare il perché di un tale comportamento da censura occulta. Dunque, mentre si fa finta di niente e si continua a nascondere che non esistano notizie più sgradite di altre, di fatto certi temi non vengono mai neppure sfiorati.

Il meccanismo è sempre lo stesso. Quando si ha l’impressione che un certo argomento possa venir fuori, danneggiando interessi consolidati, molto discretamente parte una telefonata verso la proprietà del mezzo mediatico interessato. La proprietà, a sua volta, informa il direttore della testata che non si deve fare cenno a quel discorso. E il gioco è fatto. Ovviamente ci sono priorità. Si rispetta sempre l’orientamento politico dei media interpellati. Il meccanismo funziona fin tanto che viene adottato nei media schierati dalla stessa parte. Ma nel mainstream è difficile sbagliarsi, in quanto la stragrande maggioranza dei media, cartacei e televisivi, risponde sempre a interessi finanziari e industriali molto simili e molto ben delineati.

Che cosa si nasconde dietro la scomparsa di Majorana?

Questa premessa serve a far capire come mai nessuno voglia affrontare il caso Majorana Pelizza. Difficile spiegare il funzionamento di una presunta macchina in grado di annichilire la materia trasformandola in energia pura. E non solo quello. Se si trattasse soltanto di una vicenda storica, con risvolti più o meno di colore, qualcuno ne parlerebbe. Qui, invece, il discorso è molto più complicato. Prima di tutto c’è il ruolo, innegabile e documentato, dei vari governi americani. E quando il protagonismo è a stelle e strisce, tutti gli altri soggetti coinvolti nella storia diventano molto più cauti. Infatti non stiamo parlando solo della vita nascosta e misteriosa attribuita a Ettore Majorana. In quel caso, se così fosse, si tratterebbe di risolvere un giallo storico che tante generazioni di studiosi ha suggestionato. No, c’è molto di più. Grazie all’intervento di un oscuro imprenditore bresciano, salito alla ribalta della cronaca per la costruzione di una macchina in grado di intervenire sulla materia, sappiamo che potrebbero esistere una tecnologia e una fisica potenzialmente capaci di cambiare il mondo come lo conosciamo.

La storia di Rolando Pelizza parla di un ragazzo che a vent’anni conosce un frate in un convento. Siamo nel 1958 nell’abbazia della Certosa di Calci, a Pisa, e quel religioso si faceva chiamare Padre Ambrogio. Di lui poi Pelizza sarebbe diventato l’allievo, scoprendo solo in un secondo tempo che il suo professore altri non era che Ettore Majorana.

Dal momento che Majorana scomparve il 27 marzo 1938 nel porto di Napoli, dove fu visto l’ultima volta mentre scendeva da un traghetto Tirrenia proveniente da Palermo, Pelizza lo avrebbe conosciuto vent’anni dopo la sua scomparsa ufficiale. Sarebbe stato quindi il primo ad essere introdotto alla nuova matematica quantistica che l’ex docente di Fisica presso l’Università di Napoli avrebbe scoperto? Non proprio.

Nel 1939 un giovane militare della Guardia di Finanza, Franco Marconi, cominciò a sperimentare nelle spiagge della Versilia, a poca distanza da Pisa, una strana macchina in grado di emettere un raggio letale capace di colpire obiettivi a chilometri di distanza. Non bisogna dimenticare che il 22 maggio di quell’anno Mussolini aveva firmato con Hitler il patto d’acciaio che porterà l’Italia nel baratro della Seconda Guerra Mondiale.

La storia di quest’uomo non è frutto di fantasia, ma viene raccontata con dovizia di particolari dai militari Gerardo Severino e Giancarlo Pavat nel libro Il raggio della morte (2013). Le loro ricerche, tratte dagli archivi del Museo Storico della Guardia di Finanza a Roma (la prefazione è del Generale di Corpo d’Armata Luciano Luciani, presidente del Museo stesso), sono inequivocabili: quella macchina esisteva, era in grado di provocare ingenti danni a notevolissime distanze e ne avevano preso visione alti ufficiali della Guardia di Finanza e dell’esercito tedesco. Perfino Mussolini, informato di quegli esperimenti, ricevette Marconi almeno due volte e fece finanziare il suo progetto. E sì, perché, esattamente come nella macchina di Majorana, quella tecnologia necessitava di due metalli preziosi: oro e platino. Tutte coincidenze? La storia è lunga e chi è interessato può leggersi il libro. Per sintetizzare, diciamo che Franco Marconi verrà poi perseguitato dai fascisti, dai nazisti e infine dai partigiani. Finito in un campo di concentramento, verrà salvato in extremis e infine restituito alla sua famiglia. Di quella macchina si persero le tracce nel 1945, a fine guerra, e Marconi, congedato e mandato in pensione, non parlerà mai più con nessuno della sua esperienza.

Dal momento che Franco Marconi era un perito agrario e aveva solo una conoscenza superficiale dell’elettrotecnica, chi gli aveva dato tutto quel sapere scientifico per costruire e far funzionare la macchina? Nessuno lo sa o lo ha mai saputo. Io posso solo dire che quando ho chiesto a Pelizza se conosceva la storia di Marconi, la risposta è stata assolutamente negativa. Di fatto, però, qualcuno, 37 anni prima di lui, aveva maneggiato la famosa macchina in uno dei periodi più bui e pericolosi che l’umanità abbia mai vissuto.

Le vite di Pelizza e Majorana si incrociano

A vedere le cose dall’esterno, sembrerebbe proprio che Padre Ambrogio abbia cercato fin dai suoi primi tempi a Calci, di trovare un giovane cui affidare l’essenza della sua scoperta. Majorana e Marconi si incontrarono? Lo scienziato fece in modo che il giovane finanziere costruisse la famosa macchina? Dal momento che Marconi si rifiutò sempre di fornire qualunque spiegazione sulle origini e sul funzionamento della macchina, nessuno può dirlo. Tutto quello che abbiamo, dunque, è l’accurata ricerca fatta da Severino e Pavat nel Museo Storico della Guardia di Finanza.

Del resto, anche la parte successiva di questa storia, cioè quella che riguarda Pelizza, è piena di lacune e di misteri. Nel corso della mia inchiesta, durata tredici anni, sono emersi molti dubbi e troppe incertezze. Lo stesso Pelizza si guardava bene dal parlar chiaro sulle sue vicende. In linea di massima raccontava la sua storia in modo abbastanza lineare, ma con un mare di omissis. Era lui il primo a non voler chiarire del tutto le vicende che lo riguardavano. E questo soprattutto per due ragioni: la prima aveva a che fare con le vicissitudini del suo “maestro”. Diceva che era tenuto al segreto e il suo mentore non voleva che venisse chiarito il mistero della sua scomparsa dalla vita pubblica. Anche perché sarebbe venuto fuori il ruolo avuto dal Vaticano e dai personaggi ad esso correlati.

Il secondo motivo coinvolgeva direttamente il governo degli Stati Uniti d’America. Quello dei suoi tempi, ovviamente. C’è da dire che, se gli americani lo tenevano al guinzaglio, il nodo non era poi così stretto. Di fatto Pelizza aveva una sua vita e portava avanti affari personali con una marea di persone distribuite ovunque, in Italia e all’estero. Quando però gli “amici” della CIA lo chiamavano, lui mollava tutto e si precipitava. E guai se non lo avesse fatto. Inoltre, sappiamo per certo, che anche le autorità italiane erano al corrente delle attività svolte dall’imprenditore bresciano.

Il punto più controverso di tutta questa incredibile storia, riguarda la trasmutazione dei metalli. Nell’immaginario popolare la figura di Pelizza si accosta a quella degli antichi alchimisti: con la sua brava macchinetta (che qualcuno ha avuto anche modo di osservare di persona) puntava il raggio e, diceva lui, trasformava cubi di gommapiuma in oro. E fu così, raccontava sempre l’anziano imprenditore, che si fece una riserva di 125 cubi d’oro, pari a oltre sette tonnellate del prezioso minerale. Quella fortuna, proseguiva il suo racconto, venne poi ceduta agli americani (ma si ignora chi fossero) 17 anni dopo al 50 per cento del valore dichiarato. E’ assolutamente scontato che una simile operazione venisse documentata da una ricevuta scritta, anche perché gli americani non pagarono mai una lira di quei soldi. Ma Pelizza nicchiava su questo fondamentale dettaglio. Del resto, dopo la morte, tutti i suoi documenti sono improvvisamente spariti. Non c’è dubbio che quella roba sia oggi conservata in casa di qualcuno. Ma di chi? E perché questo ignoto personaggio si è preso la briga di occultare una documentazione così fondamentale per comprendere la veridicità di tutta questa storia? Al momento, non abbiamo alcuna risposta.

Una misteriosa medaglietta

C’è poi un ultimo aspetto di questo giallo internazionale: la medaglietta della Madonna miracolosa che Pelizza mi consegnò nel marzo del 2021 qualificandola come “la prova definitiva”. Dopo mille peripezie che qui è inutile elencare, sono infine riuscito a farla periziare in modo assolutamente scientifico ed esaustivo. Nel nuovo libro c’è tutto, in particolare gli originali delle perizie a raggi X e chimico-fisiche fatte sul pezzetto di metallo.

Nonostante l’evidenza di queste nuove prove, io non ho voluto trarre alcuna conclusione. Questa storia è troppo contorta per essere paragonata ad un romanzo giallo dai connotati spionistici. Anche se la trama si accorda piuttosto bene ad eventi criminosi e spesso anche drammatici. Quando poi si leggono nomi piuttosto noti nella storia di questa saga a cavallo tra due secoli, allora tutto si complica. Come fa ad essere fantasia questo incredibile cocktail di eventi che vede come protagonisti personaggi politici di primo piano della vita pubblica italiana? E perché, a distanza di anni, c’è ancora chi fa spendere milioni di euro di soldi pubblici, pur di cercare di nascondere ciò che è realmente accaduto? Se fosse tutta una mistificazione, che bisogno ci sarebbe di occultare gli eventi relativi a Rolando Pelizza e al presunto Ettore Majorana? Perché ignorare il testamento olografo del grande scienziato? Insomma, le bugie muoiono da sole. E’ la verità che, per quanto complicata, fa sempre paura.


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