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Dove abbiamo imparato la guerra?

Nuove Scienze

Dove abbiamo imparato la guerra?

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Dove abbiamo imparato la guerra?

Prima della sua scomparsa nel 1984, il cineasta Sam Peckinpah ha affermato: «C’è una grossa vena di violenza in ogni essere umano. Se non viene incanalata e compresa, esploderà in una guerra o nella follia». Le parole di Peckinpah fanno eco al pensiero convenzionale sul rapporto fra la violenza e l’essere umano. Nelle aule e nei libri di testo di tutto il mondo siamo stati indotti a pensare che la guerra fra i popoli sia altrettanto naturale del giorno e della notte, e che ci abbia accompagnati fin dai tempi dei nostri primi antenati. Siamo talmente abituati a considerarci come una specie bellicosa che quasi ci aspettiamo di assistere a scene di eserciti e combattimenti in ogni dramma in cui siano coinvolti degli esseri umani. Ma le cose stanno davvero cosi? Gregg Braden affronta questo delicato tema in La verità nascosta, un’indagine sull’uomo e sulla sua più intima essenza.

A cura della Collana Scienza e Conoscenza


Redazione Web Macro

Homo homini lupus

Sebbene sia facile prestare fede a questo tipo di generalizzazione sommaria che vede la guerra e la violenza come inclinazione naturale dell’uomo, c’è un grosso problema: i fatti, semplicemente, non la sostengono. Alcune nuove scoperte hanno condotto a una sorprendente conclusione riguardo alle origini della guerra e al ruolo che svolge nella nostra vita. La recente evidenza archeologica delle più antiche civiltà conosciute che siano mai esistite sulla Terra (Göbekli Tepe, il Golfo di Khambhat e Caral) suggeriscono che la guerra sia un’abitudine sviluppatasi solo durante l’attuale ciclo di civiltà di 5000 anni, anziché essere uno stile di vita naturale.

Un corpus crescente di evidenza scientifica indica che le guerre su larga scala, come quelle combattute negli ultimi mille anni circa, non sono una pratica comune, come ci hanno indotti a credere. Nonostante la guerra possa effettivamente rappresentare un fattore comune durante l’attuale ciclo di civiltà, non rappresenta tutta l’esperienza umana. A un certo punto del nostro percorso abbiamo imparato a risolvere i nostri problemi attraverso la guerra, ma questo comportamento non rispecchia una nostra tendenza naturale. La scienza più qualificata del nostro tempo sostiene che le prime guerre su larga scala furono combattute durante la transizione che ha segnato il passaggio dall’ultima era mondiale al clima riscontrabile in epoca moderna. Sebbene l’ultima era mondiale appaia certamente lontana nel tempo, nel quadro generale della storia del nostro pianeta non lo è affatto: 5000 anni rispetto a una esistenza di 200.000 anni lascia un resto di 195.000 anni (ovvero il 97,5% del nostro periodo di permanenza sulla Terra) durante i quali non c’è traccia di guerre su larga scala nella razza umana. La guerra è dunque un fenomeno relativamente recente nella nostra esperienza.

Il libro di Enoch

Gregg Braden in La verità nascosta, si pone e ci pone un quesito ancora più profondo: a prescindere da quando le grandi guerre sono avvenute, DOVE abbiamo appreso la guerra in primo luogo? Senza alcun film violento da imitare, nessuna esperienza precedente a cui attingere e nessuna arma o difese su cui modellare i nostri comportamenti, chi mai avrebbe perfino concepito di costruire le armi? Chi avrebbe pensato, per esempio, di usare un’affilata lama di acciaio o una palla pesante dotata di spunzoni sporgenti per togliere la vita a un altro essere umano?

Anche se potremmo non conoscere mai la piena risposta a questa domanda, possiamo però ritrovare degli indizi nei più antichi resoconti delle nostre prime esperienze di vita su questa Terra. Uno di tali resoconti è stato recentemente recuperato dopo essere stato vietato dalla Chiesa paoleocristiana del 2° secolo d.C. Si tratta del biblico Libro di Enoch, il profeta.

Egli descrive le cause del declino dell’umanità e la fonte di sofferenza, inclusa la guerra, di cui si era testimoni nella sua epoca, dando anche alcuni indizi sull’origine della guerra. Andando oltre i riferimenti vaghi e generici che spesso sembrano accompagnare le rivelazioni degli antichi profeti, Enoch condivide le sue visioni con accuratezza e parla dell’angelo Gabriele come colui che «svelò ai figli dell’uomo gli strumenti di morte, la cotta di maglia, lo scudo e la spada per combattere».

Ciò è interessante perché la visione del profeta Enoch non è l’unica e non è stata la sola a parlare di esseri provenienti da altri mondi che trasmettono alla Terra il concetto di guerra e gli strumenti per combatterla. Nella letteratura esistono diverse tradizioni, che vanno dalla Sumeria e dall’antico Egitto per giungere fino ai tempi moderni, che descrivono più di ottanta “dèi” della guerra e il rapporto che hanno intrattenuto con gli esseri umani. Quando tante tradizioni condividono una storia incentrata su un tema così simile, non è raro scoprire che ciascuna storia rappresenta la visione unica di un evento fattuale accaduto in un antico passato.

La guerra? Una questione di credenze!

Il fatto che un numero talmente elevato di tradizioni faccia risalire l’origine e le tecniche della guerra a qualcosa che accade nei regni superiori dell’esistenza serve a gettare nuova luce su una fonte antica, e apparentemente assurda, di sofferenza umana. Anche se combattiamo abilmente le nostre guerre, se crediamo con passione a ciò per cui lottiamo, e se abbiamo giustificato le nostre credenze negli ultimi 5000 anni circa, è forse possibile che quella che combattiamo non sia affatto la nostra guerra? In altre parole, è plausibile che molto tempo fa ci siamo trasformati in ingenui seguaci di un’antica credenza (la guerra) che proveniva da un altro piano di esistenza, e che abbiamo cominciato a pensare che quella credenza e le susseguenti guerre ci appartenessero?

Sebbene di primo acchito ciò possa sembrare una possibilità remota, quando si combina l’evidenza scientifica della mancanza di attività belliche nelle antiche civiltà con il tema quasi universale dell’origine della guerra presente in moltissime tradizioni, si raggiunge una potente intuizione, che ci aiuta a dare un senso all’assurdità della guerra. Tale intuizione è accompagnata da una nuova prospettiva, che ci permette di trovare una via di uscita dall’abitudine di ucciderci a vicenda per risolvere le nostre divergenze. Se noi, infatti, abbiamo appreso da una intelligenza superiore «ogni sorta di iniquità sulla terra», come sostiene Enoch, e se quella intelligenza «svelò ai figli dell’uomo gli strumenti di morte, la cotta di maglia, lo scudo e la spada per combattere», allora quale significato avrebbe rendersi conto che le guerre che combattiamo si fondano sulle idee di qualcun altro? È possibile che un giorno ci si possa risvegliare, guardarsi negli occhi dopo cinquemila anni di violenza, e dire a noi stessi: «Cosa ci passava per la mente?».

La gentilezza

La nostra mente razionale ha bisogno di esempi ed evidenze per credere che siamo qualcosa di più dei peggiori atti di odio che scandiscono il nostro passato. Ebbene non dobbiamo far altro che rivolgere la nostra attenzione agli infiniti atti di gentilezza e benevolenza che avvengono ogni giorno in tutto il mondo. Francis Bacon, filosofo e scienziato, riteneva che l’inclinazione alla bontà fosse profondamente impressa nella natura umana, e che l’unicità della nostra specie, unita al nostro fondamentale carattere di bontà fosse la chiave per spalancare le porte a un cambiamento duraturo nella nostra vita.

Esiste un desiderio che unisce la maggior parte degli esseri umani del mondo: la nostra più profonda aspirazione di gentilezza.

Vogliamo credere di essere persone buone che vivono in un mondo buono. Siamo stranamente attratti da libri e da trame di film in cui la bontà umana si contrappone agli aspetti più oscuri della nostra natura, e lì accogliamo con entusiasmo il trionfo del bene. Siamo felici quando l’innocenza di qualcuno come Forrest Gump (impersonato da Tom Hanks nell’omonimo film del 1994) ci ricorda che dentro di noi esiste l’innocenza. Se osserviamo da vicino i temi e i punti caldi dell’irrequietezza che domina il mondo di oggi, notiamo che il conflitto non abita fra le persone che vivono in fattorie e villaggi, a stretto contatto con la natura quanto piuttosto sono le organizzazioni che tentano di cambiare la vita della gente: governi, le società industriali e i movimenti politici, a scatenare il dolore e il conflitto.

In quanto individui che vivono a stretto contatto con la natura in piccole comunità e famiglie, sembriamo in grado di rintracciare modi per essere felici in qualunque circostanza. Quante volte viaggiando ci è capitato di incontrare persone disposte ad aiutarci se ci perdiamo, a condividere con noi del buon cibo quando abbiamo fame, e sostenerci se ci facciamo male. Ci è successo è ci siamo comportati cosi anche noi. Lo psicologo statunitense Maslow, nei suoi ultimi anni si dedicò esclusivamente allo studio della natura umana, notando le «meravigliose possibilità e le imperscrutabili profondità» della nostra esistenza. Perfino in presenza di colleghi quali Sigmund Freud, il quale proponeva che la natura umana connotasse principalmente la lussuria, l’egoismo e l’aggressività, gli studi di Maslow lo condussero a ritenere che «le persone sono tutte oneste nel loro intimo». Nel fare e nel ricevere piccoli gesti di tenerezza qualcosa dentro di noi “si sveglia” e la nostra vera natura emerge in tutto il suo immenso splendore. E’ esattamente in quei momenti che vediamo cos’è che ci distingue da molte altre forme di vita.

Compassione e cooperazione

In assenza di condizioni che ci inducono a comportamenti di tipo animale, quando ne abbiamo l’opportunità scegliamo di vivere una vita pacifica e compassionevole, capace di rendere merito agli aspetti benevoli della nostra specie. Nel nostro stato più fondamentale, libero dagli intralci e dai falsi presupposti che ci inducono a credere di essere bisognosi, avari e sfruttati, o impegnati nella lotta per la sopravvivenza, noi ci riveliamo fondamentalmente una specie gentile e generosa: una specie dedita alla bontà. Quando ci sentiamo minacciati e abbandoniamo la nostra innata “bontà” siamo testimoni degli aspetti assolutamente peggiori e più spaventosi di noi stessi. Che cosa accadrebbe se ci concentrassimo sulle prove della nostra genuinità e bontà piuttosto che su quelle della nostra aggressività?

Viviamo la nostra vita in base a ciò in cui crediamo. Questo semplice fatto porta alla realizzazione che al di là di qualunque altra cosa possiamo effettivamente fare nella vita, le credenze che precedono le nostre azioni costituiscono le fondamenta di tutto ciò che amiamo, sogniamo, diventiamo e conseguiamo.


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