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Vaccini obbligatori: intervista a Il Pedante e Dr. Pier Paolo dal Monte

Salute e Benessere

Vaccini obbligatori: intervista a Il Pedante e Dr. Pier Paolo dal Monte

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Vaccini obbligatori: intervista a Il Pedante e Dr. Pier Paolo dal Monte

"È stata fatta una legge sui vaccini sbagliata e per farla si è esagerato nel confondere e nell'usare in modo promiscuo ideologia, scienza e politica".

Queste le parole (di Ivan Cavicchi) che troviamo nella prefazione del libro Immunità di Legge, di cui Macro ha edito la seconda edizione, aggiornata e ampliata.

Gli autori si chiedono: intervenire estendendo e rinforzando l’obbligatorietà vaccinale è stata la scelta giusta? Costringere i medici ad accettare il nuovo calendario vaccinale, anche con la minaccia della radiazione, ha giovato all’autorevolezza e all’indipendenza della professione sanitaria? Inoltre, queste imposizioni che cosa comportano dal punto di vista etico e politico?

Di questo e di molto altro si parla e si discute nel libro, che ricordiamo, non è una critica tout-court ai vaccini, ma una critica alla logica che sta dietro ad una legge scientista.


Redazione Web Macro

 

Abbiamo avuto il piacere di intervistare i due autori, il Dr. Pier Paolo dal Monte e Stefano Mantegazza, meglio noto con lo pseudonimo de Il Pedante

Dr. dal Monte, "il «bene» individuale, spesso, non coincide con il «bene» sociale": è questa una delle lezioni che dovremmo apprendere dalla vicenda vaccini?

Questa domanda riguarda l’uso dei saperi scientifici a fondamento delle scelte politiche e concerne il ruolo appropriato della scienza nelle società democratiche, e l’interazione tra conoscenza, così come è definita dal cosiddetto “canone scientifico” e le regole di convivenza della comunità nella quale essa opera.

Sempre più forte è il rischio che la politica adotti un particolare sapere scientifico in forma autoritativa, utilizzandolo come un potere che non è sottoposto al vaglio delle scelte democratiche, in quanto “scientificamente dimostrato” e quindi indiscutibile. Siccome, come abbiamo detto, il sapere scientifico è sempre transeunte, dieveniente e perfettibile, nulla può giustificare questo uso dogmatico e autoritario della scienza, che prende il nome di “tecnocrazia”, ed è assai lontano da quello che dovrebbe essere la prassi politica delle società democratiche.

La politica è prassi e relazione dialettica, attraverso le quali si concretizza una scelta; la tecnocrazia, viceversa, è un sedicente “governo della verità, intesa come come dogma determinato dalla scienza ufficializzata.

Lei mette in rilievo l'assurdità, in materia di vaccini, di far passare tutto con opinioni contrapposte: tutto falso o tutto vero, tutto bianco o tutto nero, solo scienza o solo superstizione. Quale dovrebbe essere invece l'approccio giusto?

La scienza è uno specifico modo di essere della conoscenza, ovvero un canone secondo il quale si organizza una determinata modalità di interpretazione della realtà tramite un sistema di metafore. Siccome essa non può essere una metafisica surrogata, non è fatta di dogmi: ogni “verità” scientifica ha un carattere meramente probabilistico e non può costituire verità assoluta, pertanto può essere smentita nel tempo (falsificabilità), col progredire delle conoscenze scientifiche.

La cosiddetta “crisi dela scienza” è un fatto reale, ed è, non solo una crisi ci credibilità, ma riguarda soprattutto il ruolo e la funzione sociale e politica della scienza. Pertanto è anche una crisi di legittimità. La prima deriva, in larga parte dalla tendenza, figlia del riduzionismo e del positivismo non ancora superati, a semplificare eccessivamente la complessità del reale. Tale semplificazione è frutto del suo fondazionalismo, ovvero l’attitudine a basare la conoscenza su fondamenti (il metodo, la statistica, le “evidenze”) per giustificare le proprie credenze e i propri assunti. Tuttavia, nessun fondamento (che abbia valore scientifico) può essere assoluto o assolutistico, ovvero valido in qualsiasi caso e condizione, ma è sempre relativo a conoscenze provvisorie, reversibili e falsificabili.

 

 

Il Pedante, lei sottolinea spesso che c'è una grossa differena tra medici e «i medici», cosa intende esattamente?

È una differenza fenomenologica. «I medici» tra virgolette sono un'astrazione utilizzata da politici e mezzi di informazione per far credere al pubblico che tutti coloro cha abbiano una laurea in medicina, in Italia o nel mondo (i medici, senza virgolette), sostengano all'unanimità le premesse, lo spirito e la lettera del decreto Lorenzin, senza eccezioni.

Nelle prime pagine del libro propongo invece una fitta – per quanto non esaustiva - rassegna di esternazioni recenti da parte di istituzioni e personalità mediche che esprimono posizioni non certo compatibili con quanto prevede la legge vaccinale in vigore, in certi casi anzi attaccandola in modo diretto.

In conclusione scrivo che «una strategia comunicativa dove la complessità e il patrimonio delle competenze di tutti si riducono a un unico e immaginario soggetto collettivo e schierato ("i medici") soddisfa certamente l’umano desiderio di avvalorare la propria tesi appiccicandole una patente di universalità ma, così facendo, ciò che guadagna in dialettica lo perde in autorità, trasmette il messaggio di un agire politico che riconosce il contributo della ricerca scientifica solo nella misura in cui soddisfa convinzioni e obiettivi prestabiliti».

Nei capitoli successivi osservo che lo stesso stratagemma dialettico, di semplificare la realtà per nascondere la complessità dei dibattiti che sottende, è stata applicata anche a «i vaccini» (come se i vaccini, senza virgolette, fossero tutti uguali), a «l'obbligo» (come se, ad esempio, l'obbligo antivaioloso del 1888 fosse paragonabile per intensità e sanzioni a quello odierno) e, infine, a «la scienza» stessa, surrettizziamente spacciata come un corpo di affermazioni immutabili e indiscutibili. Il che, non incidentalmente, integra invece una negazione totale della scienza (senza virgolette) come metodo di indagine fondato sul dubbio, sul confronto e sulla libertà dei suoi protagonisti.

Sempre a proposito del settore medico, lei cita un sondaggio che riporta lo scetticismo di una grande parte degli stessi medici sugli effetti positivi dei vaccini. Cosa dovremmo dedurne secondo lei?

Bisognerebbe chiederlo agli interessati! Per quanto mi riguarda, è la conferma di quanto ho detto sopra, che la comunità dei medici esprime posizioni, in questo caso anche attraverso le proprie condotte, che non coincidono necessariamente con la retorica trionfalista di governi e mezzi di informazione.

Senza arrivare a dire che per i medici le vaccinazioni «fanno male», i risultati di queste ricerche (ne cito due, di cui una in peer review) suggeriscono che gli specialisti della salute si rapportano alla profilassi vaccinale con la stessa cautela e le stesse valutazioni di appropriatezza con cui affrontano ogni altro tipo di trattamento sanitario. Una cautela che, purtroppo, la popolazione non è invece autorizzata a esercitare.

Lei sostiene che qualsiasi obbligo sanitario di massa debba essere respinto. Quale dovrebbe essere l'azione che ognuno di noi dovrebbe fare?

La coercizione sanitaria di cui si parla è sancita da una legge dello Stato, ormai da due anni, e l'attuale governo non sembra ansioso di revocarlo nonostante gli impegni presi da alcuni suoi esponenti. In queste circostanze, mentre già ci si muove a livello locale e nazionale per inasprire ed estendere ulteriormente l'obbligo in vigore, è doveroso denunciare i motivi che rendono questa politica non solo tragicamente sproporzionata nel merito, ma anche pericolosa nel metodo.

La volontà politica di glorificare «i vaccini» e di imporli in modo indiscriminato e coatto ha già reclamato troppe vittime: dalla libertà di coscienza e di parola di medici e scienziati, alcuni dei quali già sospesi per non essersi uniti al coro dei laudatores vaccinorum, ai diritti costituzionalmente riconosciuti dei più piccoli; dalla coesione sociale, con una minoranza di dubbiosi perseguitati e irrisi, fanaticamente additati come «untori», alla fiducia dei cittadini in una sanità pubblica che se da un lato perde pezzi per mancanza di fondi e personale, dall'altro giura di volere il bene dei cittadini rincorrendoli con le siringhe, sanzionandoli ed emarginandone i figli.

Perciò scrivo, nella seconda metà del saggio, che sarebbe un errore ridurre la contestazione ai soli aspetti medico-scientifici, pure importanti. L'ingiustificata intensificazione dell'obbligo sanitario non è che il capitolo di una più ampia tendenza politica all'accentramento dei poteri verso l'alto, alla riduzione della libertà individuale e all'esautorazione della democrazia mediante l'invocazione di leggi e principi presuntamente superiori - «l'economia», «i mercati», «la scienza» ecc.

A ciò si aggiunge l'ennesima sottomissione a potentati non eletti, con la crociata vaccinale italiana che partiva... da Washington, nel 2014. La dimensione transnazionale, e perciò intrinsecamente antidemocratica, di queste politiche è il marchio evidente di un progetto che nel reclamare il controllo dei cittadini fin dentro al loro sistema immunitario, si svincola dal controllo dei cittadini.

Questi aspetti, e altri che tratto nel testo, dovrebbero indurci a mettere in primo piano la lotta per l'autodeterminazione sanitaria affinché la sanità sia un servizio e non uno strumento di potere, e quindi a contrastare chi, per superficialità o per calcolo, la reputa negoziabile con altre concessioni.


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