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Il Metodo Di Bella (MDB) Razionale, basi biochimiche e molecolari, riscontri clinici PARTE II

Salute e Benessere

Il Metodo Di Bella (MDB) Razionale, basi biochimiche e molecolari, riscontri clinici PARTE II

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Il Metodo Di Bella (MDB) Razionale, basi biochimiche e molecolari, riscontri clinici PARTE II

L’aspetto più pericoloso e difficile da curare della biologia neoplastica, e pertanto obiettivo della razionalità terapeutica del Metodo Di Bella MDB, è costituito dalle mutazioni delle cellule tumorali, perché a ogni mutazione la cellula seleziona e trattiene una serie crescente di vantaggi.

di Giuseppe Di Bella


Redazione Web Macro

L’inibizione delle mutazioni delle cellule tumorali

Le proprietà differenzianti (antimutazioni) di componenti del MDB come melatonina, retinoidi, vitamine E, C, D3 e componenti della matrice extracellulare (ECM), si oppongono alla spiccata tendenza mutagena del fenotipo neoplastico (cellula che ha assunto le caratteristiche morfo-funzionali tipiche del tumore). Gli obiettivi strategici di una cura antiblastica, pertanto, non possono prescindere dal controllo delle mutazioni, che rappresentano una caratteristica essenziale e un denominatore comune delle cellule tumorali, non meno della citata dipendenza per la crescita da GH, PRL e GF.

Leggi la prima parte dell'articolo sul Metodo Di Bella

Alla prima mutazione la cellula tumorale seleziona il blocco del suo invecchiamento, non invecchia e non va in apoptosi, non muore. Per ogni mutazione, le cellule tumorali divengono sempre più resistenti, veloci nella crescita, mobili (metastatizzano), tossiche. La cellula tumorale è caratterizzata da una frequenza di mutazioni crescente e segue, nella sua progressione, un programma predefinito di sopravvivenza ereditato dai batteri (cui è stato trasferito dai procarioti) definito dal biologo Miroslav Radman “SOS”, che è represso, ma presente, nella cellula sana, e al quale essa accede in condizione di stress acuto. Questo programma di sopravvivenza, dà avvio a un percorso predefinito che consente alla cellula, divenuta neoplastica, di adattarsi con grande rapidità ed efficacia alle condizioni avverse con una progressione modulata da un meccanismo evolutivo predeterminato.

Il paradigma ancora dominante – i canoni ufficiali dell’oncologia – non hanno ancora recepito questo essenziale aspetto dell’evoluzione neoplastica. I protagonisti dell’evoluzione in realtà sono la selezione naturale e la variazione genetica. La selezione naturale agisce sulla variazione genetica conferendo un vantaggio evolutivo a fenotipi e genotipi che meglio si sono adattati all’ambiente. La fonte della diversità genetica è la mutazione nelle sequenze del DNA, e la mutazione è un fenomeno, per definizione, totalmente casuale, integralmente gestito dal caso.

Quindi nell’ambito dell’evoluzione, in cui agiscono le mutazioni e la selezione naturale, è chiaro che tutto viene pilotato dal caso. Naturalmente anche il cancro segue questa prassi evolutiva, e sicuramente è un processo di evoluzione somatica totalmente pilotato dal caso quello che porta alla carcinogenesi. Nell’uomo essa è un processo genetico, la cui dinamica è regolata dall’interazione fra mutazione, selezione e i meccanismi di omeostasi antiblastica dell’organizzazione tissutale, propria degli organismi complessi pluricellulari superiori e ovviamente a essi limitata. L’evoluzione di una cellula verso la malignità ha inizio con una o più mutazioni casuali. Queste mutazioni conferiscono ovviamente alla cellula un vantaggio in termini proliferativi e dunque vengono in qualche modo trattenuti dalla selezione. Quindi la lettura attuale della malattia tumorale è in termini evolutivi. Naturalmente l’accumulazione di mutazioni produrrà ondate successive di espansioni clonali. Probabilmente c’è un errore di posizione sul concetto di instabilità genetica. Nella concezione di Radman, basata sul sistema di sopravvivenza definito “SOS” e confermata da Lucien Israel et al., i due attori fondamentali sono il gene LexA e il gene RecA e le relative proteine. Il gene LexA è un repressore trascrizionale, mentre il gene RecA è invece un regolatore positivo (rimando alle pubblicazioni citate per approfondimenti). In condizioni di stabilità il programma di sopravvivenza “SOS” non è attivo; esso è represso dal gene LexA. Il sistema “SOS” comprende circa una ventina di geni e quindi quando il DNA viene danneggiato o comunque la sopravvivenza della cellula è in pericolo, la proteina LexA in qualche modo viene inattivata dalla produzione di un’altra proteina, la RecA, ed è a questo punto che si attivano i geni. Sicuramente questo programma è stato messo a punto da mutazioni casuali, selezionate favorevolmente e trattenute dalla cellula che ha accesso a questa informazione in condizioni particolari.

Un programma dell'evoluzione

Vi sono forti indizi per ritenere, con gli autori citati, che questo programma che è stato trattenuto dall’evoluzione, ed è presente negli eucarioti, sia stato trasmesso alle nostre cellule. La ricerca di un programma “SOS” nelle cellule eucariote e negli organismi multicellulari come il nostro, ha già dato risultati positivi. Gli studi del professor Lucien Israel portano a ricercare omologie tra le proteine e i geni del sistema “SOS” batterico e quelli trattenuti nelle nostre cellule. Uno di questi geni è stato già identificato. C’è un’omologia molto marcata tra la proteina batterica RecA e una proteina presente nelle nostre cellule, la Rad 51. Dunque abbiamo fondate ragioni di ritenere che il sistema “SOS”, anche in una sua versione molto più evoluta, possa esistere anche nelle nostre cellule. A un approfondito esame l’attuale paradigma oncologico dominante della visione della progressione maligna come totalmente gestita dal caso, cioè interamente prodotta da una somma di mutazioni successive, ma sempre casuali, non regge, per il carattere piuttosto prevedibile della progressione maligna. Ad eccezione degli eventi iniziali, sicuramente gestiti da casuali mutazioni, la progressione della malattia tumorale è sicuramente molto stereotipata, è la recita di un copione.

Le cellule tumorali acquisiscono con gradualità e progressione, crescenti proprietà e caratteristiche, e “imparano” a svolgere tutta una serie di attività. Un fenotipo così caratterizzato necessita di circa un migliaio di generazioni. In un periodo relativamente breve le cellule tumorali sono in grado di produrre una serie di fattori di crescita che le loro omologhe, non endocrine, non sanno sintetizzare. Le cellule tumorali esprimono dei recettori per questi fattori che influenzano la proliferazione selettiva, limitata alle stesse popolazioni neoplastiche. Esse inoltre acquisiscono sempre maggiori motilità e formabilità per meglio raggiungere i capillari e aumentare il proprio potenziale di metastasi; sanno inoltre acquistare capacità di sopravvivenza e di proliferazione in parenchimi anche diversi e ricoprirsi di molecole che le mascherino al sistema immunitario. Successivamente sono in grado di secernere delle proteasi che, lisando le membrane connettivali di contenimento dell’espansione neoplastica, permettono un’invasione per contiguità, oltre a indurre angiogenesi e immunodepressione locale e sistemica.

In un lavoro pubblicato nel 2003 su «Nature» si documenta come una cellula di melanoma attaccata da un linfocita sia in grado di produrre “apoptosi” nel linfocita; quindi le popolazioni neoplastiche raggiungono progressivamente la capacità di eliminare le cellule del sistema immunitario che tentano l’aggressione. Per ultimo la cellula tumorale è in grado di modificare l’ambiente cellulare circostante, inducendo le cellule vicine a sostenere la propria proliferazione. Il fatto stesso che siano agevolmente in grado di codificare i passaggi essenziali della progressione verso la malignità e di acquisire un graduale incremento di aggressività, proliferazione, adattamento, contraddice una visione evolutiva strettamente casuale della malattia tumorale.

Ci sono ulteriori aspetti che danno conforto a questa posizione, le sindromi paraneoplastiche, una sorta di cartina al tornasole della progressione verso la malignità. Un dato significativo è costituito dal fatto che, se queste mutazioni fossero gestite dal caso, o meglio se la progressione fosse totalmente gestita dal caso, dovremmo assistere sia a mutazioni favorevoli sia sfavorevoli, o comunque neutre, rispetto all’evoluzione tumorale. In realtà questo non succede. Le sindromi paraneoplastiche documentano come la produzione di sostanze anomale, da parte della cellula tumorale, mostri sempre un’utilità biologica per il tumore che produce soltanto sostanze che gli tornano utili. Ciò è fortemente in contraddizione con l’idea oncologica ufficiale di una progressione casuale, perché in questo caso dovremmo assistere anche a produzione di sostanze (se è il caso che gioca) neutre, o comunque anche sfavorevoli, rispetto alla progressione tumorale.

Esistono alcuni eventi genetici, caratterizzanti la progressione tumorale, che non corrispondono a delle mutazioni, ma sono semplici riattivazioni e repressioni o amplificazioni di geni, non mutati, ma silenti. Questo inevitabilmente ci porta a concludere che sicuramente gli organismi multicellulari più evoluti, come il nostro, hanno ereditato parti di genoma dai batteri, come emerge chiaramente nei recenti lavori di genetica molecolare in cui si documenta che certi geni batterici si sono assolutamente conservati nelle nostre cellule. Gli studi di biologia molecolare hanno oggi totalmente e integralmente confermato anche l’intuizione del professor Di Bella. Quando non erano ancora stati individuati i recettori nucleari dei retinoidi (RAR, RXR, alfa, beta e gamma) della melatonina (RZR, ROR), della vitamina D (VDR) egli ne aveva prevista e preconizzato l’esistenza, l’interazione sinergica e il ruolo differenziante. Oggi è accertata la presenza di questi recettori nucleari, dei rispettivi fattori di trascrizione, della loro dimerizzazione con fosforilazione e amplificazione del segnale di silenziamento delle sequenze dei geni che codificano le mutazioni con collaterale effetto citostatico. Pertanto l’interazione recettoriale amplificata di retinoidi, MLT, vitamina D alle altre certificate linee di segnalazione antitumorale aggiunge l’inibizione delle mutazione, la differenziazione, obiettivo strategico primario e vitale nella prevenzione e terapia del cancro.

Un contributo alla storia della medicina

Questo razionale dell’impiego oncoterapico fattorialmente interattivo delle molecole del MDB, prende avvio e deriva dagli studi sperimentali e dall’esperienza clinica sviluppate dal professor Di Bella fino dal 1940, anno di inizio dei suoi studi sui retinoidi. La sua opera, pertanto, non rappresenta solo un determinante contributo al progresso nella terapia dei tumori, ma si inserisce nella storia stessa della medicina, nella comprensione fisiopatologica e nelle strategie terapeutiche delle malattie. All’impiego oncoterapico sinergico di retinoidi e tocoferoli, ergo- e tachisteroli, dal 1965 il professor Di Bella associò la MLT e dal 1968 la somatostatina, dando l’avvio a un metodo, a una nuova concezione oncologica finalizzata al recupero dell’omeostasi sia neuroimmunoendocrina e antidegenerativa sia antitumorale, mediante la riconversione alla normalità nel cancro dei meccanismi di controllo di differenziazione, apoptosi, proliferazione cellulare, dinamiche di espressione e traduzione genica, realizzando il fisiologico recupero delle funzioni vitali. Per il professor Di Bella curare razionalmente il cancro significa conoscere e comprendere l’ammalato nella sua unità psicofisica e fisiopatologica, considerando la localizzazione neoplastica come la massima concentrazione cellulare temporo-spaziale di una malattia potenzialmente sistemica. Se l’asse terapeutico razionale si basa sulle evidenze scientifiche e su valori etici, deve ormai decisamente spostarsi dai paradigmi chemioterapici citoriduttivi-citotossici al MDB, legato alla sacralità delle vita umana, ai concetti informatori razionali-fisiologici, morali, della “terapia biologica dei tumori” termine che il professor Di Bella coniò e usò per primo, anche in questo antesignano di una innovativa strategia oncoterapica.

Due tipi di oncologia

Dalla comparsa del MDB esistono pertanto due tipi di oncologia: a) Il MDB, che può essere concettualmente definito antropocentrico nel senso scientifico, filosofico, etico e cristiano del termine. Esso considera e cura il portatore del tumore, non il tumore come entità estrapolata da un’inscindibile unità biologica e spirituale. b) Un’oncologia tradizionale citotossica-citolitica che con l'oncologo Paolo Lissoni possiamo definire cancerocentrica. Essa rivolge e concentra l’attenzione diagnostica e terapeutica sul tumore. In questa visione il paziente è semplicemente il portatore occasionale del tumore stesso per cui il trattamento non può conseguentemente che essere la distruzione di quell’aggregato cellulare definito “tumore” e non delle molteplici cause che ne hanno consentito e prodotto insorgenza, proliferazione, progressione, disseminazione e impedito una potenziale ripresa.

Questo limite miope e gravemente riduttivo della vecchia oncoiatria ignora e pertanto non previene e non interviene sulle cause del sovvertimento dell’omeostasi biologica antiblastica e dei suoi molteplici e complessi meccanismi differenzianti, citoregolatori, apoptotici, immunologici. Essa non preserva l’integrità delle membrane cellulari, nucleari, del citosol, del cariosol dallo stress ossidativo e dai radicali liberi. Inoltre non contempla e ignora la necessità e la possibilità di intervenire (vedi relazione del professor Di Bella al Congresso internazionale di Amburgo sulla MLT del 27 agosto 1998 “Cytochalasin B influence on megakaryocyte patch–clamp”, e la sua pubblicazione su «Medical Science», vol. 8 (12), 2002, pp. BR527-531 con il titolo Melatonin effects on megakaryocyte membrane patch-clamp outward K+ current) sui potenziali di membrana cellulare e pertanto sui canali ionici, sulla dinamica dell’espressione e funzionalità recettoriale, per una visione statica e cristallizzata, malgrado il dato acquisito di una continua modulazione di queste vitali e basilari strutture biologiche. Diversamente dal MDB, l’oncologia non potenzia, ma gravemente e a volte irreversibilmente deprime con farmaci citotossici anche funzioni strategiche antiblastiche quali l’integrità della sostanza biologica extracellulare, delle fasce mesenchimali naturali di contenimento dell’espansione neoplastica quali la matrice extracellulare. Interviene inoltre negativamente sul trofismo e la funzionalità di tessuti, parenchimi, endoteli, della crasi ematica, dinamica midollare, di cui al contrario, il MDB prevede e attua il potenziamento in funzione antiblastica.

Una “multiterapia razionale e biologica”

Così il professor Luigi Di Bella ha sintetizzato il suo pensiero scientifico nella terapia del cancro:

«Essere essenziale più che l’inattuabile ed immaginaria uccisione di tutti gli elementi neoplastici, la realizzazione di tutte le condizioni, note, possibili e non dannose entro determinati limiti, atte a ostacolarne lo sviluppo (fino alla morte anche per apoptosi), soprattutto attraverso l’intergioco fra i numerosi fattori di crescita. Tutto ciò senza rinunciare eventualmente ad un certo antineoplastico, probabilmente più attivo nel corso dell’attuazione del protocollo proposto […]. L’essenziale sta nell’attivare tutti gli inibitori dei noti fattori di crescita alle dosi e con tempestività e tempi opportuni. Il protocollo MDB è nato in quest’atmosfera, quella della vita e non dell’intossicazione e morte delle cellule, metodo che asseconda o esalta le reazioni vitali, senza ricercare con precisione statistica le dosi più opportune per uccidere. Il tumore è deviazione dalla vita normale, per cui occorre portare le reazioni deviate alla norma, attraverso l’esaltazione di tutti quei mezzi che la Fisiologia considera essenziali per la vita normale. […] Non esiste né esisterà alcun trattamento chemioterapico citotossico (né monoterapia) in grado di guarire un tumore solido, ma unicamente un Metodo, una multiterapia razionale e biologica, un complesso di sostanze sinergiche e fattorialmente interattive, singolarmente dotate di attività antitumorale atossica, che sequenzialmente o contemporaneamente agiscano centripetamente sulla miriade di reazioni biologiche della vita tumorale, riconducendo gradualmente alla normalità le reazioni vitali deviate dal cancro». 

 


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