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La terapia con le acque selvagge

Nuove Scienze

La terapia con le acque selvagge

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La terapia con le acque selvagge

Dal 2007, il progetto Heroes on the Water (HOW) ha aiutato più di tremila soldati e veterani di guerra invalidi a rilassarsi, rieducarsi e reintegrarsi portandoli a pescare in kayak. Secondo Jim Dolan, fondatore di HOW, la pesca in kayak fornisce tripla terapia: fisica (perché i veterani pagaiano e pescano), occupazionale (perché apprendono nuove tecniche e uno sport che possono praticare per tutta la vita) e mentale (grazie alla libertà e al rilassamento che accompagnano il tempo passato sull’acqua). «Io so che quando sono là fuori sull’acqua tutta la merda della mia vita scompare», dice Dolan «e in tal modo immagino che sia così anche per loro».

Nel suo bestseller Blue Mind, dr. Wallace J. Nichols  presenta una serie di ricerche scientifiche ed esperimenti svolti da medici, psicologi e psichiatri, che hanno portato alla consapevolezza del potere straordinario dell’acqua di migliorare la nostra salute fisica e mentale.

A cura della redazione della Collana Scienza e Conoscenza 


Redazione Web Macro

Cosa sono la TBI e PTSD?

Il dottor Jordan Grafman ha studiato le funzioni del cervello umano per più di trent’anni. Già capo del dipartimento di neuroscienze cognitive presso il National Institute of Neurological Disorders and Stroke [Istituto Nazionale per i Disordini Neurologici e Ictus.] del National Institutes of Health e attualmente direttore della ricerca sulle lesioni cerebrali presso il Rehabilitation Institute (Istituto di Riabilitazione) di Chicago, egli è un eminente esperto di TBI (lesioni cerebrali traumatiche) e degli effetti delle TBI sul PTSD (disturbo da stress post traumatico). Il suo entusiasmo per questo campo specialistico cela la gravità delle lesioni che aiuta a curare, e sfortunatamente negli ultimi dieci o più anni ha avuto molte persone da studiare.

«Tra la popolazione civile, dal tre al sei per cento degli individui tendono a essere idonei per una diagnosi di PTSD», egli ha comunicato ai partecipanti al convegno Blue Mind 3. «Tra le vittime di disastri naturali, come terremoti o tsunami, la percentuale sale dal quattro al sedici per cento». Tuttavia, ben il cinquantotto per cento delle persone che sono state esposte al combattimento ricevono una diagnosi di PTSD. Secondo un rapporto stilato nel 2008 da RAND Corporation, più di seicentoventimila uomini e donne che hanno prestato servizio militare in Iraq e Afghanistan dal 2003 sono ritornati affetti da PTSD, grave depressione o TBI.

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Il PTSD è il risultato della risposta cerebrale disfunzionale a un’esperienza (o più esperienze) traumatica, o del continuo logorio provocato da molteplici situazioni stressanti, o di una prolungata e persistente angoscia per la perdita di amici o persone amate. «Quando qualcuno è stato esposto a un evento traumatico e ha risposto con paura, impotenza od orrore» dice Grafman, «perde il senso di sicurezza personale o la sensazione di essere padrone del proprio ambiente. Queste persone possono anche sperimentare vergogna o senso di colpa per essere sopravvissute. Poi rivivono l’evento, in situazioni simili o nei sogni e nell’immaginazione, e diventano iperstimolate».

Ogni ripetizione dell’evento rafforza le connessioni tra l’evento e le sensazioni dolorose, e tende a far sì che le persone (spesso irrazionalmente) temano che lo stesso evento accada nuovamente in futuro. Qui vediamo un altro esempio di come la plasticità cerebrale può essere una maledizione, una mappa neuronale tracciata e ritracciata con l’inchiostro rosso della Mente Rossa. «Molte persone colpite da PTSD non riescono a dormire» riferisce Brian Flores, membro della Monterey County Mental Health Commission (Comitato per la Salute Mentale della Contea di Montereyche) che ha combattuto le proprie battaglie contro il disordine affettivo stagionale (SAD). «Ogni volta che chiudi gli occhi, vedi quell’incidente automobilistico o quello che ha dato origine allo stress traumatico, di qualunque cosa si tratti». Dormire bene è di importanza cruciale per sognare bene, e sognare bene è fondamentale per la creatività, l’apprendimento e la memoria.

Nel PTSD, come in ogni altro tipo di stress, le parti del cervello più direttamente colpite sono l’amigdala, l’ippocampo e la corteccia prefrontale mediale. «L’amigdala ha a che fare con le emozioni e la paura, ma anche con l’importanza di quello che vediamo nel mondo di relativo alla nostra sicurezza personale», continua Grafman. «L’ippocampo è importante per formare e ricuperare i ricordi quotidiani, che l’amigdala etichetta con contenuti emozionali. La corteccia prefrontale mediale è importante per archiviare credenze, ricordi di routine ed episodi che riportiamo continuamente alla mente. Sia l’amigdala che la corteccia prefrontale mediale sembrano avere un’importanza fondamentale nella formazione del PTSD».

Quale può essere il contributo di programmi come Heroes on the Water?

Grafman ipotizza che «a volte le persone vogliono semplicemente abbandonarsi ai rasserenanti, pulsanti ritmi delle onde. Essere vicino all’acqua rilassa e stimola nello stesso tempo noi e quindi il nostro cervello, conducendo a cambiamenti emozionali positivi nel comportamento umano. Sospetto che l’attività cerebrale in molte delle regioni implicate nello stress post traumatico tramite l’esperienza diretta dell’acqua potrebbe contribuire a calmare le persone e metterle in grado di produrre una risposta adattiva al PTSD».

Egli aggiunge inoltre che «numerosi studi dell’attività cerebrale mostrano che la corteccia prefrontale mediale è molto attiva durante i momenti di intuizione, ma, altrettanto importante, è influenzata da uno stato d’animo positivo. Quanto più positivo lo stato d’animo, quanto più grande l’intuizione, tanto maggiore l’attività in quell’area del cervello. Aiutare qualcuno a provare stati d’animo più positivi contribuirà a sostenere l’attività cerebrale nella corteccia prefrontale mediale».

John Hart, neurologo e direttore medico scientifico del Center for Brain Health (Centro per la Salute Mentale) di Dallas, che lavora con i veterani di Heroes on the Water, dice qualcosa di simile: «L’acqua esercita un impatto su tutti e cinque i sensi allo stesso tempo con un’immagine e un ricordo molto positivi e potenti. I ricordi felici dei giorni passati sull’acqua aiutano queste persone a superare i brutti ricordi e le immagini che le ossessionano e possono aiutarle anche a spezzare il guscio, permettendo loro di tornare a ricongiungersi con il resto del mondo».

L’acqua ci mette nello stato mentale di calma, in cui avviene la guarigione.

E l’acqua non è passiva: nella maggior parte dei casi (e sicuramente nei casi che implicano un kayak e una canna da pesca) dobbiamo interagire con essa. Come Grafman nota: «Nei suoi confronti noi proviamo timore reverenziale e allo stesso tempo curiosità, ed è una sfida da padroneggiare». L’acqua ci distrae nel migliore dei modi, permettendoci di pensare a poco altro oltre a quanto abbiamo di fronte. Non si tratta solo del fatto che pescare produce un senso di calma e il rilascio di endorfine associate con un piacere intenso, ma una gita sull’acqua o in ambienti selvaggi può essere profondamente rigenerante di per sé, secondo la branca della psicologia nota come ecoterapia. Trovarsi nella natura selvaggia può produrre sensazioni di rispetto e meraviglia, un maggior senso di connessione con sè stessi e con la natura, un senso di rinnovamento, e un’autoconsapevolezza più grande.

La Wilderness Therapy

 


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